IL TRIBUNALE ORDINARIO DI VICENZA Ufficio Esecuzioni Il giudice dott. Giulio Borella, Visto l'art. 23 legge n. 87/1953; Rilevato che il sottoscritto e' giudice dell'esecuzione immobiliare di cui in epigrafe; Rilevato che, in data 20 agosto 2015, veniva nominato esperto per la stima degli immobili pignorati il geom. Valentino Scomazzon: Rilevato che l'esperto ha depositato la perizia in data 11 gennaio 2016; Rilevato che, contestualmente, l'esperto ha depositato, ex art. 71 decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, l'istanza di liquidazione del proprio compenso; Rilevato che le attivita' dell'esperto e i contenuti della perizia di stima sono descritti dall'art. 173-bis d.a. c.p.c.; Ritenuto che gli accertamenti ivi previsti debbono essere liquidati ex articoli 49 e ss decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e articoli 13-12 decreto ministeriale n. 182/2002, nonche', quanto agli accertamenti non previsti dal decreto ministeriale citato, neanche in via analogica, col metodo della liquidazione a vacazione ex art. 4 legge n. 319/1980; Rilevato che sui criteri di liquidazione degli esperti stimatori e' recentemente intervenuto l'art. 161, comma 3, disp. att. c.p.c., come introdotto dalla legge n. 132/2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2015, entrato in vigore il 21 agosto 2015, a mente del quale «Il compenso dell'esperto o dello stimatore nominato dal giudice o dall'ufficiale giudiziario e' calcolato sulla base del prezzo ricavato dalla vendita. Prima della vendita non possono essere liquidati acconti in misura superiore al cinquanta per cento del compenso calcolato sulla base del valore di stima»; Solleva Eccezione di illegittimita' costituzionale della predetta disposizione, in quanto configgente con gli articoli 3, 36, 41, 97, nonche' in relazione all'art. 117 Cost., quest'ultimo in relazione al principio di proporzionalita'/adeguatezza, quale principio generale dell'ordinamento comunitario di proporzionalita', sia nella parte in cui prevede che il compenso dell'esperto stimatore nominato ex art. 569 codice di procedura civile venga liquidato sulla scorta del ricavato della vendita, anziche' in base al valore di stima (come previsto dall'art. 13 decreto ministeriale n. 182/2002), sia nella parte in cui dispone che, prima della vendita, non possano essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del compenso calcolato sul valore di stima. Motivi 1 - Con riferimento al primo punto (liquidazione in base al valore di vendita), la norma e' innanzitutto in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto irragionevole. Ed infatti l'art. 568 codice di procedura civile detta i criteri per la determinazione del valore di vendita dell'immobile, valorizzando il ruolo dell'esperto, al quale indica alcune direttive da seguire nell'effettuazione della stima, prevedendo che «Agli effetti dell'espropriazione il valore dell'immobile e' determinato dal giudice avuto riguardo al valore di mercato sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall'esperto nominato ai sensi dell'articolo 569, primo comma. Nella determinazione del valore di mercato l'esperto procede al calcolo della superficie dell'immobile, specificando quella commerciale, del valore per metro quadro e del valore complessivo, esponendo analiticamente gli adeguamenti e le correzioni della stima, ivi compresa la riduzione del valore di mercato praticata per l'assenza della garanzia per vizi del bene venduto, e precisando tali adeguamenti in maniera distinta per gli oneri di regolarizzazione urbanistica, lo stato d'uso e di manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonche' per le eventuali spese condominiali». La norma richiede dunque al giudice di determinare il prezzo in base al valore di mercato del bene (oltre che una serie di altri indici), che deve essere fornito dall'esperto, il quale dunque pure deve parametrare la propria stima non gia' al presumibile valore di realizzo del bene, bensi' in base al valore di mercato, con gli adattamenti richiesti dalla specificita' della vendita coattiva (es. decurtazioni per assenza di garanzia per vizi). Non si spiega quindi per quale ragione la liquidazione del bene debba avvenire sulla scorta del valore di vendita finale, quando viene chiesto di effettuare la stima del valore di mercato. Deve tenersi presente del resto che i due valori e i metodi per il calcolo sono ben distinti nella dottrina dell'estimo, ove gli IVS (International Valuation Standards) distinguono nettamente tra valore di mercato del bene (calcolato sulla scorta del Market Approach, Income Approach e Cost Approach) e valore del bene in condizioni di vendita forzata, valore che viene calcolato sulla scorta di criteri ben differenti. In particolare il valore di vendita forzata e' definito come l'importo che si puo' ragionevolmente ricavare dalla vendita di un bene, entro un intervallo troppo bene perche' rispetti i tempi di commercializzazione richiesti dalla definizione del valore di mercato. La vendita forzata implica un prezzo derivante da una vendita avvenuta in circostanze straordinarie. Generalmente riflette un periodo di commercializzazione inadeguato, durante il quale il bene non e' stato esposto al mercato a sufficienza,; a volte riflette la condizione di un venditore non intenzionato alla vendita e/o una vendita imposta o estorta (cfr Linee guida ABI A.1.5). Il valore di vendita forzata e' atteso essere minore del prezzo di mercato, ma non puo' essere calcolato sulla scorta di una semplice decurtazione percentuale dal prezzo di mercato. Il valore di vendita forzata deve far riferimento a specifiche assunzioni, tenuto conto che non e' realistico che il perito determini il valore del bene, senza conoscere le ragioni delle limitazioni esistenti. Le assunzioni della stima del valore di vendita forzata possono riguardare l'applicazione di un criterio convenzionale, basato sulla simulazione del processo di formazione del prezzo, riferito alle caratteristiche dell'immobile (cfr linee guida ABI A.1.5). Anche dal punto di vista della base scientifica della norma quindi, la stessa appare del tutto irragionevole, rispetto al tipo di stima che l'art. 568 codice di procedura civile richiede all'esperto. 2 - La norma appare altresi' irragionevole e, quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto, nella parte in cui aggancia il compenso dell'esperto al valore di vendita del bene pignorato, prende come valore di riferimento un'entita' (il valore di vendita appunto) che tuttavia non pare pronosticabile a priori e dipende da fattori imponderabili da parte dell'esperto. Sul valore di vendita finale del bene si possono al massimo effettuare delle valutazioni prognostiche, basate su dati statistici (peraltro poco confortanti: si pensi che in un articolo comparso su Casa24 Plus del 1º marzo 2012 si evidenziava come gli immobili fossero mediamente aggiudicati alla seconda asta, con un ribasso medio del 39% rispetto a quello di stima; tali dati statistici sono peggiorati negli ultimi anni). Sotto tale profilo del resto la disposizione in esame appare irragionevole anche perche' in contrasto con la natura giuridica dell'obbligazione dell'esperto, quale professionista dotato di specifica competenza tecnica, che e' obbligazione di mezzi e non di risultato. La distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato non e' puramente terminologica o confinata ai manuali di istituzioni di diritto privato: sebbene la giurisprudenza piu' recente di legittimita' abbia operato un ravvicinamento delle due categorie, l'essenza dell'obbligazione di mezzi va ricercata nel principio di causalita', e risiede nell'impossibilita' per il debitore di poter garantire un certo risultato, e cio' in quanto il risultato stesso non si pone in rapporto di regolarita' causale con la prestazione, pur diligentemente svolta, sul risultato potendo incidere una serie di concause, non dominabili dallo stesso debitore, che non possono quindi essere poste a suo carico. Nella specie la norma, nell'ancorare la stima al valore di vendita finale del bene, finisce col trasformare l'obbligazione dell'esperto da obbligazione di mezzi ad obbligazione di risultato, senza tenere conto tuttavia che sul valore finale di vendita del bene possono incidere svariati fattori, non preventivamente governabili dall'esperto (basti pensare, a puro titolo di esempio, alle stime effettuate prima e nell'imminenza della crisi del mercato immobiliare, calibrate su ben altra situazione di mercato e rivelatesi poi inadeguate non per colpa degli esperti; o si pensi all'ipotesi di danni cagionati all'immobile dal debitore, o da terzi, o da intemperie; ecc.). Appare dunque irragionevole porre a carico dell'esperto l'alea degli eventi che possono incidere sul valore finale di aggiudicazione e che non dipendono dalla sua condotta o dalle sue capacita' di previsione. 3 - La norma e' altresi' irragionevole e, quindi, in contrasto con l'art. 3 Cost., perche' figlia di un infondato, quanto diffuso pregiudizio nei confronti della categoria degli esperti stimatori, tacciati di effettuare stime troppo alte, al fine di lucrare compensi piu' elevati. Trattasi, appunto, di mero pregiudizio, in quanto una superficiale scorsa al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 e alle tabelle allegate evidenzia che, posto che il compenso non puo' mai superare l'importo di euro 2.271,76, anche sovrastimando ad euro 500.000,00 un bene che ne vale euro 400.000,00, il compenso sarebbe di euro 2.256,18, con un lucro di soli euro 90,00 circa lordi; sovrastimando ad euro 400.000,00 un bene del valore di euro 300.000,00 il lucro sarebbe di soli euro 95,00 circa; sovrastimando ad euro 300.000,00 un bene che ne vale 250.000,00 il lucro sarebbe addirittura di soli euro 80,00 circa lordi. E si potrebbe continuare. Appare quindi del tutto evidente come la norma si fondi su di un pregiudizio infondato e tenti di superarlo ancorando il compenso dell'esperto al valore di vendita, allo scopo di indurlo a non effettuare stime troppo elevate. 4 - Ancora, la norma appare irragionevole, nella misura in cui, nel mentre il decreto-legge n. 83/2015 dilata ulteriormente e per l'ennesima volta i compiti dell'esperto, aggiungendo tre nuovi punti (n. 7-8-9) all'art. 173-bis d.a. c.p.c., dall'altra, in luogo di compensare adeguatamente l'esperto per tale ulteriore impegno, ne riduce il compenso. Ne' si dica che non e' detto che il compenso risulti ridotto, in quanto l'immobile ben potrebbe essere aggiudicato ad un prezzo superiore a quello di stima e, quindi, l'esperto potrebbe addirittura lucrarci. Va detto che su tale eventualita' pare non credere neppure lo stesso legislatore, quale, gia' con il decreto-legge n. 132/2014, convertito con legge n. 162/2014, aveva di fatto reso inapplicabili le norme sull'incanto, stabilendo che il giudice puo' disporre l'incanto solamente quando ritenga che con tale sistema di vendita sia possibile ricavare un prezzo pari al 150% del valore di stima (valore di mercato). In ogni caso, come visto sopra, nel riportare le linee guida ABI, e' la stessa scienza dell'estimo a prevedere che il prezzo atteso dalla vendita in condizioni di vendita forzata e' atteso essere inferiore rispetto al valore di mercato. Ancora, le statistiche, come detto, dicono che il valore medio di aggiudicazione era, nel 2012, inferiore del 39% rispetto a quello di stima. E' dunque del tutto irragionevole sostenere che la norma sarebbe neutra rispetto all'entita' del compenso dell'esperto. In ogni caso la norma sarebbe irragionevole anche nel caso in cui fosse vero l'assunto che l'esperto potrebbe lucrare un compenso maggiore, laddove l'immobile fosse aggiudicato ad un valore superiore alla stima, in quanto ancora una volta si tratterebbe di un valore sul quale egli non avrebbe potuto incidere in alcun modo e, anzi, paradossalmente verrebbe premiato pur dimostrandosi che la stima da lui originariamente effettuata e la previsione (ma sarebbe forse meglio definirla la scommessa) sul valore di aggiudicazione era errata. 5 - La norma contrasta altresi' con l'art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza. La stima del valore di beni immobili non e' attivita' esclusiva del processo esecutivo, mobiliare o immobiliare, potendo essa essere necessaria anche in altri ambiti, quali giudizi di divisione ex art. 784 codice di procedura civile o procedimenti concorsuali. Trattandosi di norma speciale, espressamente riferita all'esperto stimatore in ambito esecutivo, l'art. 161, comma 3, d.a. codice di procedura civile non potrebbe applicarsi alla liquidazione dei compensi dello stimatore in un giudizio di divisione, e cio' malgrado, ex art. 788 c.p.c., in caso di indivisibilita' in natura dei beni, anche tale processo possa sfociare in un subprocedimento di vendita coattiva, disciplinato dalle stesse norme del codice di procedura civile, ma non vi e' dubbio che, in tal caso, la liquidazione del C.T.U. avverrebbe sulla scorta dell'art. 13 decreto ministeriale n. 182/2002, che prende a riferimento per la liquidazione del compenso il valore di stima. Ugualmente, in ambito fallimentare, in caso di presenza di immobili nel compendio fallimentare, la vendita seguirebbe le forme dell'art. 107 1.f., il quale consente di optare per la vendita tramite G.D., che segue le forme dell'esecuzione immobiliare civile e, normalmente, viene svolta previo espletamento di perizia di stima. Anche in questo caso la norma oggi impugnata, per la sua specialita', non potrebbe applicarsi al di fuori del suo ambito di applicazione, ossia la stima effettuata nell'ambito delle esecuzioni civili, con una evidente disparita' di trattamento rispetto ai casi precedenti. 6 - Ancora, la norma appare irragionevole e in contrasto con l'art. 3 Cost. anche nella parte in cui non specifica come dovrebbe avvenire la liquidazione in caso di estinzione del processo, sia tipica, che atipica. E se con riferimento alla prima ipotesi potrebbe forse azzardarsi - con un notevole sforzo di fantasia - che, dipendendo l'estinzione da una scelta del procedente o da una sua inerzia, la liquidazione dovrebbe avvenire con riferimento al valore di stima, non potendosi la scelta delle parti risolversi in danno dell'ausiliario, non cosi' potrebbe concludersi nel secondo caso. Si pensi all'art. 164-bis d.a. c.p.c., introdotto dal decreto-legge n. 132/2014, che consente di dichiarare l'improseguibilita' della procedura e la chiusura anticipata del processo esecutivo per l'impossibilita' di conseguire il proprio scopo, ossia la soddisfazione del creditore. In questo caso, pur in assenza di inerzie colpevoli del creditore procedente, ma per l'effetto di una scelta discrezionale del giudice dell'esecuzione, la procedura si chiuderebbe senza vendita e liquidazione del bene, cosi' che, massimizzando la disciplina dell'art. 161, comma 3, d.a. c.p.c., dovrebbe dirsi che al perito non dovrebbe spettare alcun compenso e, anzi, dovrebbe restituire quanto eventualmente corrispostogli in acconto. 7 - La norma appare in contrasto altresi' con l'art. 36 Cost., sia nella parte in cui ancora la liquidazione al valore di vendita del bene, in luogo che al valore di stima, sia nella parte in cui rinvia la liquidazione al momento della vendita, consentendo prima di tale momento solamente la liquidazione di acconti non superiori al 50%. L'art. 36 Cost. prevede infatti che il lavoratore abbia diritto ad una retribuzione adeguata e proporzionata alla quantita' e qualita' del lavoro svolto e la norma risulta applicabile anche ai lavoratori autonomi (cfr Corte costituzionale 75/1964). Si e' gia' evidenziata l'irragionevolezza di una disposizione, quale l'art. 161, comma 3, d.a. c.p.c., che, nel mentre il legislatore commina all'esperto una pluralita' di compiti sempre piu' complessi, arricchendo di riforma in riforma i contenuti della perizia ex art. 173-bis d.a. c.p.c., dall'altro lato produce di fatto l'effetto di diminuirne il compenso. Si consideri tra l'altro che la norma qui impugnata, nel far riferimento al compenso nel suo complesso, non pare neppure distinguere tra voci del compenso che dipendono effettivamente dal valore di stima/vendita (art. 13), e voci che ne prescindono (accertamenti ex art. 12, vacazioni ex art. 4, legge n. 319/1980, art. 16). In ogni caso, se e' vero che, nella liquidazione degli ausiliari, il legislatore non e' tenuto a rifarsi alle tariffe professionali, oggi peraltro non piu' in vigore, e' altrettanto vero che, come piu' volte osservato dalla giurisprudenza di legittimita' (cfr Cassazione 18070/2012), «la liquidazione, sebbene non possa farsi con riferimento alle tariffe professionali allora vigenti, tenuto conto della natura pubblicistica dell'incarico e del conseguente bilanciamento degli interessi, deve comunque essere tale da assicurare all'ausiliario un ragionevole risultato economico». Si puo' quindi fondatamente dubitare che la disposizione impugnata assicuri all'esperto, a fronte dell'impegno richiesto dal novellato art. 173-bis d.a. c.p.c., quel ragionevole risultato economico che la Cassazione richiede e che ricava appunto direttamente dall'art. 36 Cost., quale irrinunciabile presidio alla dignita' del lavoro e della persona, tenuto del resto e altresi' conto del fatto che, trattandosi di incarico ricevuto dall'autorita' giudiziaria, l'ausiliario non gode di potere contrattuale nella determinazione del proprio compenso, come qualsiasi altro libero professionista. Cio' vale anche con riferimento alla parte della disposizione che prevede che, prima della vendita, non possano liquidarsi acconti sul compenso superiori al 50%. Appare infatti equivalente al non compensare adeguatamente il professionista per il lavoro svolto il rinviare sine die la liquidazione del compenso, in attesa di un evento futuro e incerto quale la vendita dell'immobile pignorato, che potrebbe avvenire dopo diversi anni o addirittura non avvenire mai. 8 - la norma appare in contrasto altresi' con l'art. 41 e 117 Cost., in quanto pare limitare irragionevolmente la liberta' di iniziativa economica, e cio' sia nella parte in cui parametra il compenso al valore di vendita, sia nella parte in cui ne rinvia la liquidazione alla vendita del bene, consentendo prima di tale momento solamente la liquidazione di acconti, non superiori al 50%. Che l'entita', ma anche la tempestivita' del pagamento del compenso impattino sulla liberta' di iniziativa economica non puo' ragionevolmente trarsi in dubbio, se e' vero che, a livello europeo, sono state anche emesse direttive volte a garantire la tempestivita' dei pagamenti nelle transazioni commerciali (decreto legislativo n. 231/2002). Non che la disciplina in parole possa essere ovviamente applicata direttamente alla liquidazione dei compensi dell'esperto stimatore, non potendosi in tal caso parlare di transazione commerciale (sebbene il compenso ex art. 8 decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 vada anticipato dal creditore procedente, che ha diritto alla relativa fattura). Rimane tuttavia valido il principio di fondo, ispiratore della disciplina, per cui l'entita' e, soprattutto, la tempestivita' dei pagamenti devono essere garantiti, quali elementi fondamentali della liberta' di impresa e di iniziativa economica. Che poi anche il professionista rientri nella tutela dell'art. 41 Cost. e nel concetto di impresa e' assai pacifico nella giurisprudenza della CGUE. Essa infatti intende come imprenditore qualsiasi soggetto che, indipendentemente dallo stato giuridico e dalle modalita' di finanziamento, eserciti attivita' economica (cfr C.G.U.E. 1º luglio 2008 causa C-49/07) e definisce attivita' economica qualunque attivita' consistente nell'offrire beni e servizi su un determinato mercato (cfr C.G.U.E. 10 gennaio 2006 causa C-222/04), a prescindere dallo scopo di lucro eventualmente perseguito (cfr C.G.U.E. 29 novembre 2007 causa C-119/06). Per tale via la norma appare in contrasto anche con l'art. 117 Cost., in quanto in contrasto con l'art. 117 Cost., perche', limitando l'entita' del compenso dell'esperto e ritardandone il pagamento, viene a limitare la liberta' economica del professionista, costituendo norma tecnica che crea un ostacolo non necessario, inadeguato e sproporzionato rispetto alla detta liberta'. Va ricordato che il principio di proporzionalita' ha ottenuto particolare considerazione nell'ordinamento comunitario (art. 5 trattato CE) e nell'art. I-11 del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, oltre ad essere un indiscusso protagonista nella giurisprudenza della C.G.U.E., che a partire dagli anni sessanta del secolo scorso lo ha elevato a rango di principio generale dell'ordinamento comunitario, anche quale principio costituzionale comune ai paesi membri. Il principio di proporzionalita' (con i connessi principi di necessita' e adeguatezza) assolve nella giurisprudenza della CGUE a diverse funzioni, ma, per quanto qui interessa, esso costituisce una condizione di validita' delle misure nazionali che incidono sulle liberta' fondamentali garantite dall'Unione. In particolare limitazioni alle liberta' fondamentali sono giustificate, per la CGUE, quando siano necessarie, adeguate e proporzionate per tutelare esigenze imperative di interesse pubblico (cfr sent. 20 febbraio 1979 causa C120/1978. I provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle liberta' fondamentali debbono soddisfare quattro condizioni: applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperiosi di interesse pubblico, essere idonei ad assicurare il conseguimento dello scopo prefissato e non andare oltre quanto necessario a tal fine (cfr sentenza 31 marzo 1993 causa C-19/1992). Appare dunque evidente il contrasto della norma con il principio di proporzionalita', nella misura in cui, limitando quanto e quando del compenso dell'esperto, non puo' che creare ostacolo alla liberta' di iniziativa economica del professionista, senza la presenza di un imperativo interesse pubblico da tutelare e, comunque, in misura inadeguata e sproporzionata. Per tal via la stessa appare in contrasto anche con l'art. 117 Cost., in quanto lesiva del principio di diritto comunitario primario di proporzionalita'. 9 - La norma appare in contrasto altresi' con l'art. 3, 97 Cost., nella parte in cui, frustrando le aspettative al compenso degli esperti, finisce con il far lavorare gli stessi sottocosto e, quindi, con l'allontanare dal circuito le professionalita' migliori, con grave danno per la funzionalita' e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia. Deve ricordarsi che, per la giurisprudenza di merito, l'esperto stimatore non va qualificato come C.T.U., bensi' come ausiliario del giudice, valorizzando in tal modo il rapporto di fiducia esistente tra lo stimatore e il giudice stesso (culla differenza ontologica tra l'attivita' dell'esperto e quella del C.T.U. si e' espressa la Cassazione, con sentenza n. 4919/2001, ove si legge che «L'esperto non deve svolgere il suo incarico in contraddittorio coi consulenti delle parti, sia perche' la sua nomina e' un atto preparatorio alla vendita e la sua valutazione costituisce un dato meramente indicativo, che non pregiudica l'esito della vendita, sia perche' il suo ausilio non viene chiesto dal G.E. per risolvere una controversia, ma soltanto per la liquidazione dei beni pignorati, cioe' per l'esecuzione di un'attivita' di tipo esecutivo tipicamente unilaterale»). Tale diverso inquadramento giuridico viene invocato allo scopo di evidenziare l'inopportunita', ai fini dell'efficienza della gestione del processo esecutivo, di applicare all'esperto le norme sui CC.TT.UU., segnatamente l'art. 61 codice di procedura civile e l'art. 22 d.a. c.p.c., che obbligano il giudice a scegliere l'esperto dall'albo dei C.T.U. e rimettono al Presidente del Tribunale la vigilanza sull'equa distribuzione degli incarichi (art. 23 d.a. c.p.c.). E' stato infatti giustamente sottolineato come l'applicazione di queste norme porterebbe spesso ad una distribuzione degli incarichi a pioggia tra gli iscritti all'albo, in una materia che, al contrario, proprio alla luce del costante incremento di compiti demandato dal legislatore all'esperto, richiede una sempre maggiore competenza e professionalizzazione, impossibile laddove i professionisti ricevano pochi incarichi all'anno. D'altro canto la conclusione non muterebbe anche accedendo alla diversa interpretazione che vuole che anche gli esperti stimatori vengano nominati scegliendoli dall'albo dei CC.TT.UU., atteso che l'art. 23 cit. demanda bensi' al Presidente del Tribunale la vigilanza sull'equa distribuzione degli incarichi, ma precisa altresi' che tale equa distribuzione deve avvenire «senza danno per l'amministrazione della giustizia», espressione che implica appunto una particolare attenzione alle competenze e professionalita' degli esperti, evitando la distribuzione di incarichi a pioggia. Esiste dunque, nella specifica materia delle esecuzioni immobiliari, l'esigenza di poter beneficiare di professionisti dotati di grande competenza e professionalita', in un settore dove gli eventuali errori, imprecisioni, omissioni della perizia di stima finiscono col riverberarsi sull'aggiudicatario e, per questa via, con il danneggiare l'immagine dell'intero settore delle vendite pubbliche. Appare dunque evidente come la disposizione impugnata appaia in contrasto con tali esigenze e, per tal via, con gli articoli 3, 97 Cost. Del resto il giudice delle leggi, nel dichiarare incostituzionale l'art. 106-bis decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002, introdotto dall'art. 1, comma DCVI, legge n. 147/2013, ha gia' avuto modo di rilevare l'irragionevolezza di normative che frustrino sul piano del compenso gli ausiliari del giudice, per via delle ricadute di sistema che, nelle condizioni descritte, puo' favorire, per un verso, applicazioni strumentali o addirittura illegittime delle norme (ad es. a mezzo di indebita proliferazione degli incarichi o un pregiudiziale orientamento verso i massimi tariffari) e, per l'altro, comportare un allontanamento dal circuito dei consulenti d'ufficio delle migliori professionalita' (cfr Corte costituzionale 192/2015). Il che e' appunto quanto sta accadendo nell'ambito delle esecuzioni immobiliari a seguito dell'introduzione della disposizione qui impugnata, sia sotto il profilo dell'entita' dei compensi, sia sotto il profilo del quando del pagamento.